L’idea originaria di questo progetto sperimentale, è quindi semplice e al tempo stesso geniale e complessa: organizzare sul territorio un’unità operativa mobile, che riesca a intercettare in modo capillare sul territorio le situazioni locali di difficoltà connesse con la malattia, attivando un rapporto di collaborazione con i familiari per fornire formazione e assistenza adeguate. Il dottor Cilesi, coordinatore tecnico del progetto, è uno psicoterapeuta di consolidata esperienza nella cura delle demenze con metodi non farmacologici che includono la musica, la “terapia della bambola” e l’organizzazione razionale dell’ambiente domestico in cui vive un paziente con demenza senile. Per descrivere i benefici dell’organizzazione dell’ambiente del malato, Cilesi nella sua presentazione ha mostrato l’esempio della porta di un’abitazione, che con un semplice accorgimento può essere nascosta con una tenda e una pianta e ridurre quindi i pericoli di fuga del malato (questa comprensibile paura dei familiari è una tra le cause che induce spesso alla decisione del ricovero). Un altro interessante esempio, già adottato diffusamente in Svezia, è la cosiddetta “terapia della bambola”: alcuni pazienti hanno infatti tratto evidenti benefici nell’accudire delle “bambole speciali” appositamente realizzate, che consentono quindi di compensare almeno in parte gli squilibri di una malattia che intacca spesso irrimediabilmente le facoltà cognitive, lasciando però inalterata la “sfera dei sentimenti” e affettiva. La presentazione del progetto si conclude con l’interessante intervento della dottoressa Mara Azzi, che dal 1° gennaio 2011 dirige l’A.s.l. della Provincia di Bergamo. La dottoressa Azzi ha manifestato la propria attenzione e il sostegno dell’azienda sanitaria all’iniziativa promossa dal dottor Cilesi, che mostra già nella sua fase progettuale un potenziale enorme per i benefici che può apportare alla qualità della vita di pazienti e familiari. Se il progetto verrà sostenuto anche al termine della sua fase sperimentale (la decisione è ovviamente connessa con i risultati che verranno conseguiti e valutati), potrà essere avviato un servizio permanente sul territorio, che potrà attrarre nuove risorse finanziarie anche grazie ai benefici sulle finanze pubbliche di un atteso minore ricorso al ricovero ospedaliero e di una maggiore cura domiciliare della malattia.

Gli interventi dei soci e il dibattito che ha seguito la presentazione del progetto confermano l’attenzione verso una patologia che “tocca da vicino” molte famiglie e la disponibilità dei soci ad offrire il proprio sostegno a un progetto che pone la nostra provincia e le sue strutture pubbliche e private ancora una volta all’avanguardia almeno a livello Europeo (vengono citate a tal proposito alcune esperienze similari solo in Norvegia e Canada). Il progetto richiede infatti, per le sue caratteristiche e la sua complessità, il coinvolgimento operativo di un equipe di professionisti altamente specializzati nel trattamento di questa malattia (sul camper che per il primo anno si sposterà con un programma preciso soprattutto all’interno del territorio delle Valli Bergamasche saranno coinvolti un autista, uno psicologo o un neuropsicologo, un esperto in terapie non farmacologiche e in strategie di comunicazione rivolte ad utenti Alzheimer, un medico geriatra, un’infermiera e un volontario familiare dell’Associazione Familiari Alzheimer), ma per il buon esito dell’iniziativa il dottor Cilesi conferma l’importanza del sostegno anche non professionaledi volontari in attività di promozione e informazione sul territorio, che sono di fondamentale importanza e che certamente la nostra provincia non farà mancare. La dottoressa Azzi, che ha maturato una lunga esperienza nel settore sanitario anche in altri territori della nostra regione e di altre regioni, ha infatti manifestato il proprio apprezzamento per le “eccellenze” che il nostro territorio può vantare sia nell’ambito del volontariato e della solidarietà (ai quali anche il Rotary è da sempre molto sensibile), che in quello degli operatori professionali pubblici e privati attivi in provincia nell’assistenza e la cura di questa malattia, che è prima di tutto una “malattia sociale”.