Questa consapevolezza ha condotto anche la Fondazione a sostenere il progetto “un camper on the road”, che si pone certamente un obiettivo concreto di sostegno ai pazienti, ma che affronta in modo innovativo e con una particolare sensibilità le complicazioni che soprattutto i loro familiari devono affrontare per l’assistenza domiciliare. Interviene a questo punto con la sua testimonianza diretta la dottoressa Belotti, geriatra presso la Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) di via Gleno, ove è referente dell’unità di Valutazione Alzheimer, una struttura ambulatoriale specializzata nella diagnosi e nella cura della malattia. La dottoressa Belotti ci ha descritto sinteticamente e con estrema precisione le principali problematiche a cui va incontro un paziente affetto da questa malattia: oltre a provocare criticità connesse soprattutto in fase di esordio, con la progressiva perdita di memoria, la malattia normalmente si aggrava con evoluzioni e ritmi spesso molto diversi tra paziente e paziente, fino a indurre stati di confusione, di irritabilità o di aggressività, sbalzi di umore, difficoltà nel linguaggio, perdita della memoria a lungo termine e progressive disfunzioni sensoriali.

La malattia si manifesta normalmente all’interno di un contesto affettivo e familiare, che è quasi sempre impreparato ad affrontarla (tra gli effetti della malattia che hanno un impatto più dannoso sugli equilibri familiari vi è quello che conduce i pazienti spesso alla difficoltà di percepire la realtà e a riconoscere le persone care) e produce quindi spesso una situazione di grave disagio e stress, che induce a sua volta l’insorgere nei familiari di nuove patologie, soprattutto di tipo psicologico e psicosomatico. La dottoressa Belotti ha perciò, anche in base alla propria esperienza diretta, confermato l’importanza di un progetto come quello promosso dal dottor Cilesi, che ha l’obiettivo tra gli altri di promuovere l’impiego di metodologie e strumenti di cura non farmacologica ritenuti in grado di ridurre notevolmente il disagio per il malato e per i familiari, soprattutto quando già nello stadio inziale della malattia si riesce ad avviare un percorso terapeutico adeguato. La paura e l’impreparazione dei familiari ad affrontare senza il supporto adeguato la malattia tra le “quattro mura domestiche” porta spesso alla dolorosa decisione di ricoverare il paziente presso strutture specializzate o presso case di riposo, con conseguenze notevoli sulla qualità della vita dei malati e sugli equilibri economici delle famiglie e dell’assistenza pubblica. Il territorio provinciale vanta un numero considerevole di strutture residenziali (circa 50), che appaiono tuttavia inadeguate per numero e per l’elevato costo ad accogliere tutti i malati che sono previsti per i prossimi anni. Risulta quindi quanto mai indispensabile la ricerca di soluzioni alternative o complementari al ricovero, che mirano a combinare l’assistenza domiciliare e ospedaliera attraverso la formazione e l’addestramento dei familiari, e che sono in grado di ridurre notevolmente il disagio della malattia e di orientare e assistere i “caregiver” nella cura della malattia.