La conviviale del 9 aprile è stata dedicata a un tema che solo ad una prima superficiale impressione poteva apparire destinato ad essere apprezzato da pochi “addetti ai lavori”. L’approccio seguito dai relatori che si sono avvicendati nell’esposizione dei contenuti trattati ha permesso infatti a tutti i partecipanti alla serata di rendersi conto che le implicazioni connesse con le patologie degenerative come la “malattia di Alzheimer” hanno direttamente o indirettamente un notevole impatto sulla vita quotidiana di ognuno di noi, non solamente da un punto di vista assistenziale e sanitario, ma anche da una più ampia prospettiva sociale e familiare e infine economica. Questa patologia è stata descritta per la prima volta nel 1906, dallo psichiatra e neuropatologo tedesco Alois Alzheimer. Dopo la sua scoperta la malattia ha avuto nello scorso secolo una notevole diffusione, soprattutto nelle aree del mondo ove si è manifestato un maggiore invecchiamento della popolazione. Si parla infatti spesso anche di “demenza senile” di tipo Alzeihmer per descrivere una patologia che rappresenta la forma più comune di demenza degenerativa invalidante, con un esordio che si manifesta normalmente oltre i 65 anni, anche se negli ultimi anni sono sempre più frequenti i casi di pazienti più giovani. Anche la maggiore diffusione della malattia tra le donne è, secondo un orientamento prevalente, dovuta esclusivamente a una loro maggiore longevità media rispetto agli uomini.

I relatori della serata hanno dimostrato, ognuno dalla propria prospettiva, di avere una consolidata esperienza delle implicazioni psicologiche, sociali, economiche e cliniche di una malattia che, come hanno poi confermato alcuni interventi nel dibattito conclusivo, ha assunto una notevole diffusione anche nel nostro territorio. La presentazione viene introdotta dal dottor Fabrizio Lazzarini, direttore generale della Fondazione Casa di Ricovero Santa Maria Ausiliatrice Onlus, un’istituzione che ha assunto la configurazione attuale circa dieci anni fa, ma che affonda le proprie radici ai primi dell’Ottocento ed è da sempre riconosciuta dai bergamaschi come un punto di riferimento per l’assistenza socio sanitaria a favore delle persone anziane, disabili o in stato di disagio fisico o psichico.

Per perseguire la propria missione la Fondazione si avvale di strutture polivalenti, in grado di erogare servizi di assistenza domiciliare, ambulatoriale, ospedaliera e semiresidenziale.  I pazienti e gli ospiti delle strutture della Fondazione sono soprattutto anziani, affetti dalle diverse patologie tipiche della “terza età”. Particolarmente complessa è l’assistenza alle persone malate di demenza senile, nelle quali la più frequente è appunto il morbo di Alzheimer. L’esperienza consolidata durante gli anni di attività della Fondazione ha consentito di indagare in modo approfondito il notevole impatto che questa malattia ha non solamente sulla qualità della vita del paziente, ma anche sui suoi familiari. Infatti, la crescente diffusione nella popolazione, la limitata e in ogni caso non risolutiva efficacia delle terapie oggi disponibili, e le enormi risorse necessarie per la sua gestione (sociali, affettive, sanitarie, logistiche ed economiche), che ricadono in gran parte sui familiari dei malati, la rendono una delle patologie con il più grave “impatto sociale” nel nostro territorio e nel mondo intero.


Questa consapevolezza ha condotto anche la Fondazione a sostenere il progetto “un camper on the road”, che si pone certamente un obiettivo concreto di sostegno ai pazienti, ma che affronta in modo innovativo e con una particolare sensibilità le complicazioni che soprattutto i loro familiari devono affrontare per l’assistenza domiciliare. Interviene a questo punto con la sua testimonianza diretta la dottoressa Belotti, geriatra presso la Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) di via Gleno, ove è referente dell’unità di Valutazione Alzheimer, una struttura ambulatoriale specializzata nella diagnosi e nella cura della malattia. La dottoressa Belotti ci ha descritto sinteticamente e con estrema precisione le principali problematiche a cui va incontro un paziente affetto da questa malattia: oltre a provocare criticità connesse soprattutto in fase di esordio, con la progressiva perdita di memoria, la malattia normalmente si aggrava con evoluzioni e ritmi spesso molto diversi tra paziente e paziente, fino a indurre stati di confusione, di irritabilità o di aggressività, sbalzi di umore, difficoltà nel linguaggio, perdita della memoria a lungo termine e progressive disfunzioni sensoriali.

La malattia si manifesta normalmente all’interno di un contesto affettivo e familiare, che è quasi sempre impreparato ad affrontarla (tra gli effetti della malattia che hanno un impatto più dannoso sugli equilibri familiari vi è quello che conduce i pazienti spesso alla difficoltà di percepire la realtà e a riconoscere le persone care) e produce quindi spesso una situazione di grave disagio e stress, che induce a sua volta l’insorgere nei familiari di nuove patologie, soprattutto di tipo psicologico e psicosomatico. La dottoressa Belotti ha perciò, anche in base alla propria esperienza diretta, confermato l’importanza di un progetto come quello promosso dal dottor Cilesi, che ha l’obiettivo tra gli altri di promuovere l’impiego di metodologie e strumenti di cura non farmacologica ritenuti in grado di ridurre notevolmente il disagio per il malato e per i familiari, soprattutto quando già nello stadio inziale della malattia si riesce ad avviare un percorso terapeutico adeguato. La paura e l’impreparazione dei familiari ad affrontare senza il supporto adeguato la malattia tra le “quattro mura domestiche” porta spesso alla dolorosa decisione di ricoverare il paziente presso strutture specializzate o presso case di riposo, con conseguenze notevoli sulla qualità della vita dei malati e sugli equilibri economici delle famiglie e dell’assistenza pubblica. Il territorio provinciale vanta un numero considerevole di strutture residenziali (circa 50), che appaiono tuttavia inadeguate per numero e per l’elevato costo ad accogliere tutti i malati che sono previsti per i prossimi anni. Risulta quindi quanto mai indispensabile la ricerca di soluzioni alternative o complementari al ricovero, che mirano a combinare l’assistenza domiciliare e ospedaliera attraverso la formazione e l’addestramento dei familiari, e che sono in grado di ridurre notevolmente il disagio della malattia e di orientare e assistere i “caregiver” nella cura della malattia.


 

L’idea originaria di questo progetto sperimentale, è quindi semplice e al tempo stesso geniale e complessa: organizzare sul territorio un’unità operativa mobile, che riesca a intercettare in modo capillare sul territorio le situazioni locali di difficoltà connesse con la malattia, attivando un rapporto di collaborazione con i familiari per fornire formazione e assistenza adeguate. Il dottor Cilesi, coordinatore tecnico del progetto, è uno psicoterapeuta di consolidata esperienza nella cura delle demenze con metodi non farmacologici che includono la musica, la “terapia della bambola” e l’organizzazione razionale dell’ambiente domestico in cui vive un paziente con demenza senile. Per descrivere i benefici dell’organizzazione dell’ambiente del malato, Cilesi nella sua presentazione ha mostrato l’esempio della porta di un’abitazione, che con un semplice accorgimento può essere nascosta con una tenda e una pianta e ridurre quindi i pericoli di fuga del malato (questa comprensibile paura dei familiari è una tra le cause che induce spesso alla decisione del ricovero). Un altro interessante esempio, già adottato diffusamente in Svezia, è la cosiddetta “terapia della bambola”: alcuni pazienti hanno infatti tratto evidenti benefici nell’accudire delle “bambole speciali” appositamente realizzate, che consentono quindi di compensare almeno in parte gli squilibri di una malattia che intacca spesso irrimediabilmente le facoltà cognitive, lasciando però inalterata la “sfera dei sentimenti” e affettiva. La presentazione del progetto si conclude con l’interessante intervento della dottoressa Mara Azzi, che dal 1° gennaio 2011 dirige l’A.s.l. della Provincia di Bergamo. La dottoressa Azzi ha manifestato la propria attenzione e il sostegno dell’azienda sanitaria all’iniziativa promossa dal dottor Cilesi, che mostra già nella sua fase progettuale un potenziale enorme per i benefici che può apportare alla qualità della vita di pazienti e familiari. Se il progetto verrà sostenuto anche al termine della sua fase sperimentale (la decisione è ovviamente connessa con i risultati che verranno conseguiti e valutati), potrà essere avviato un servizio permanente sul territorio, che potrà attrarre nuove risorse finanziarie anche grazie ai benefici sulle finanze pubbliche di un atteso minore ricorso al ricovero ospedaliero e di una maggiore cura domiciliare della malattia.

Gli interventi dei soci e il dibattito che ha seguito la presentazione del progetto confermano l’attenzione verso una patologia che “tocca da vicino” molte famiglie e la disponibilità dei soci ad offrire il proprio sostegno a un progetto che pone la nostra provincia e le sue strutture pubbliche e private ancora una volta all’avanguardia almeno a livello Europeo (vengono citate a tal proposito alcune esperienze similari solo in Norvegia e Canada). Il progetto richiede infatti, per le sue caratteristiche e la sua complessità, il coinvolgimento operativo di un equipe di professionisti altamente specializzati nel trattamento di questa malattia (sul camper che per il primo anno si sposterà con un programma preciso soprattutto all’interno del territorio delle Valli Bergamasche saranno coinvolti un autista, uno psicologo o un neuropsicologo, un esperto in terapie non farmacologiche e in strategie di comunicazione rivolte ad utenti Alzheimer, un medico geriatra, un’infermiera e un volontario familiare dell’Associazione Familiari Alzheimer), ma per il buon esito dell’iniziativa il dottor Cilesi conferma l’importanza del sostegno anche non professionaledi volontari in attività di promozione e informazione sul territorio, che sono di fondamentale importanza e che certamente la nostra provincia non farà mancare. La dottoressa Azzi, che ha maturato una lunga esperienza nel settore sanitario anche in altri territori della nostra regione e di altre regioni, ha infatti manifestato il proprio apprezzamento per le “eccellenze” che il nostro territorio può vantare sia nell’ambito del volontariato e della solidarietà (ai quali anche il Rotary è da sempre molto sensibile), che in quello degli operatori professionali pubblici e privati attivi in provincia nell’assistenza e la cura di questa malattia, che è prima di tutto una “malattia sociale”.